Paolo Emilio Busi

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A cura di Renato Ongania

Mappa di Parlasco (LC).
Chiesa di Gittana. Sulla sinistra si vede il Santuario dove c'è la tomba del Parlaschino.
Pavimento del Santuario della Madonna delle Grazie dove è sepolto Il Parlaschino (Gittana).

Paolo Emilio Busi (Parlasco 1571 - Bellano 15 gennaio 1653), detto Il Parlaschino, è stato poeta e professore.[1]

Nato in seno ad una famiglia di Parlasco e per questo detta “I Parlaschini”.

«Nacque povero, visse da prodigo guadagnando molto e consumando tutto, da vero letterato, morì miserabile.»[2]

Completò i suoi studi a Parigi.[3]

Fu maestro di grammatica prima a Bellano, poi ad Asso, ed quindi professore di belle lettere e rettore del Collegio Calchi Taeggi a Milano.[4]

Bersagliato per tutta la vita dall’invidia e dalle disgrazie, ritornò nel 1651 a Bellano a “terminare gli anni dell’infiacchita vecchiezza”, com’egli si esprime in una lettera di congratulazione in data 18 agosto del 1652 a Martino Denti di Bellano per la costui elezione al vescovado di Strongoli, in Calabria.[5]

Ed infatti ivi spirò nella grave età d’anni 82 il giorno 15 gennaio del 1653, ed il dì 11 giugno successivo venne il suo cadavere trasportato nel sepolcro a Gittana.

Sepolcro che si era preparato nel timore di essere colto dalla terribile e celebre epidemia di peste bubbonica del 1630[6], di cui furono vittime gli amici suoi Gussalli e Boldoni e che egli aveva schivato ritirandosi a Gorgonzola (MI) in casa di un suo parente.

Sulla pietra sepolcrale nel pavimento del Santuario della Madonna delle Grazie di Gittana ancor si legge l’iscrizione che aveva fatto scolpire così concepita:

DONEC TUBA

PAULUS AEMILUS PARLASCHINUS

FREQUENTISSIMA ULTIMI TERRIBILIUM

COGITATIONE COMMOTUS IN HOC

DELUBRO UBI CASIBUS ADVERSIS

PRÆSENTEM DIVINI NUMINIS

CLEMENTIAM EST EXPERTUS HUNC

TUMULUM SIBI PONENDUM CURAVIT

ANNO REPARATIONIS HUMANÆ

MDCXXX ETATIS SUÆ LX

QUIESCAM.[7]

Opere

  • Opera postuma, pubblicata nel 1857 dall'ing. Giuseppe Arrigoni, storiografo della Valsassina dal titolo «Documenti Inediti riguardanti la storia della Valsassina e delle terre limitrofe»[8][9]
  • «De Patriae suae praestantia»
  • «De Francisci Parlaschini vita et litteris»

Citazioni

Dalla Francia ritornerà in Valsassina, in una casa «super amoenissimum Parlaschi collem» che guarda la Mugiasca «inter omnes Vallissaxinae montes insignem», con alle spalle invece l’Agueglio che d’inverno toglie dopo mezzodì a quei di Parlasco i raggi solari per più di quaranta giorni, «plus quadraginta dies occultat».[10]

Varenna

È cosa di stupore il bel fiume Latte

Che sbocca da caverna spaventosa

Superbo, altero e porge curiosa

Mostra d’un acqua bianca come il latte.

Inarca i cigli e tien miracolosa

La caduta di quel sott’un’ombrosa

Balza ch’l fa parer candido latte

L’acqua si rompe tra macigni neri

E fa un’acqua spumosa dove batte

Che appresso e da lontan par vero latte

Da’ da filosofar a dotti veri,

Perchè s’asconde e mostra a suo talento

O bianco come latte o come argento.[11]

Castello di Vezio (Torre)

Castello di Vezio (torre).

Nel 1631 l’investitura della torre è data a Giovanni Antonio de Tarelli f. q. Ambrogio.

Nel 1656 la torre è affittata ad Antonio Tarelli.

Il professore Bodo Abcard nella sua opera illustrata: Die Burgen Italiens, riproduce la merlatura del castello di Vezio, come uno dei più tipici esemplari, col castello di Cly in Valle d’Aosta, di merlatura quadrata.

Il poeta Parlaschino ha dettato le seguenti iscrizioni sulla torre di Vezio:

Super sacram Varenatii turrim

Turrim Martio furori antiquitus obiectum

quam ad hostiles impetus arcendos

exterorumque irruptiones reprimendas

erectam solo Principum Dissensiones

aquarunt. Recens divino cultui dicatum

unanimes Varenatum assensiones

renovare ceperunt.

Anno Post Virginis Partum mdcxxxv.

Alia

D.O.M.

Varenna fame, peste et bello graviter afflicta mdcxxxv sacram hanc Turrim a fundamentis erexit. Que tandem fastigia decorata.

Anno domini mdcxxxv.

Secondo queste due iscrizioni la torre non solamente sarebbe stata riadattata, ma addirittura riedificata nel 1635.[12]


Si tratta di un'iscrizione che celebra la ricostruzione o la rinnovazione della torre di Varenna, che in passato era stata costruita per difendersi dalle minacce esterne. L'iscrizione fa riferimento anche alla dedicazione della torre al culto divino e menziona l'anno in cui è avvenuta la rinnovazione, "mdcxxxv", che corrisponde all'anno 1635 dopo la nascita di Cristo.

Voci correlate

Castello di Vezio

Note